di Alberto Pucci
L’antico paese di Torri (comune di Sambuca pistoiese, provincia di Pistoia) è situato fra la Limentra orientale e la Limentrella sulle pendici dei monti Lavacchio (1096) e Calvario (1121) ad una quota di 912 metri.
Il borgo, venendo da Pistoia, si raggiunge percorrendo la strada Pistoia-Riola e deviando a sinistra dopo l’abitato di Lentula, oppure percorrendo la statale Porrettana e dirigendosi, in località Taviano, verso Badi e Treppio.
Il toponimo Torri deriverebbe, secondo alcuni studiosi, dai torrioni di arenaria scistosa diffusi nei dintorni del paese. Secondo altri, invece, e questa sembra l’ipotesi più probabile considerata l’importanza di questa comunità nel medioevo, dalle torri di avvistamento utili per la difesa del territorio. Sulla balza rocciosa che domina il centro abitato era stata infatti collocata una torre che doveva essere in contatto visivo con una struttura analoga situata a Monticelli (non a caso oggi denominato Torraccia).
Sempre su questo dirupo nell’XI secolo fu edificata una chiesa, poi interamente ristrutturata a partire dalla metà del Settecento fino al 1890 quando, finita la costruzione del nuovo campanile, vi furono portate le campane. Dedicata a Santa Maria Assunta, rimane purtroppo chiusa durante la settimana e nei mesi invernali.
Di probabile origine longobarda, Torri divenne importante soprattutto nel Medioevo.
Il suo villaggio fortificato faceva parte di una rilevante area di passaggio fra Firenze-Pistoia e Bologna-Nord d’Italia. Questa zona era caratterizzata da una fitta trama di itinerari che avevano i loro capisaldi in Pratum Episcopi (l’odierna Spedaletto), Sambuca, Pavana, la Badia a Taona, Treppio, Fossato, Bargi e che confluivano nella via Francesca della Sambuca, una variante della notissima via Francigena.
La valle della Limentra rimase per lungo tempo un luogo di transito di primaria importanza. Alla fine dell’Ottocento e negli anni seguenti la via Porrettana attraverso il Passo della Collina e poi la ferrovia Firenze-Pistoia-Bologna rappresentarono i più importanti attraversamenti dell’Appennino tosco-emiliano.
Solo a partire dalla metà del Novecento la situazione cambiò radicalmente. La povera economia dei paesi della montagna, basata sull’allevamento e l’agricoltura e sulle risorse del bosco (castagne, legno, carbone), non resse il confronto con l’intenso sviluppo delle città e con le nuove e più redditizie opportunità di lavoro.
Torri conobbe perciò un graduale ma fortissimo spopolamento. Le abitazioni caratterizzate dai muri in pietra e dalle lastre sui tetti dello stesso materiale, prelevato dalle vicine cave, un tempo anch’esse fonte di reddito, si trasformarono gradualmente in seconde case, spesso ristrutturate secondo le nuove esigenze.
Nelle varie frazioni del paese: Torraccia, Pigoni, Ciliegia, Casa Antonio, Grotta, Casone, La Ca’ da tempo non si sentono più le voci dei contadini, dei pastori, dei carbonai e della gente indaffarata nel proprio lavoro. Non si vedono più i fumi dei numerosi seccatoi che servivano per preparare la farina di castagne che per tanti anni ha permesso di vivere, né si odono i belati delle pecore portate al pascolo.
Ad eccezione del mese di agosto, durante il quale i torrigiani tornano nel paese per passare le ferie, negli altri mesi domina il silenzio, rotto soltanto dal richiamo della poiana, dal bramito del cervo, dal verso stridulo dei rapaci notturni, da quello ripetitivo del cuculo e da quello sgraziato della ghiandaia. Non che questi siano i soli animali presenti. Dai piccoli lucherini ai ghiri, dalle faine alle volpi, dai tassi ai cinghiali è un insieme di specie di animali che vivono e lottano per la loro sopravvivenza.
Ma un’altra visione attrae l’attenzione, quella di un paesaggio contraddistinto dal verde degli alberi.
Aceri, faggi, querce, pini, susini, peri, ciliegi, ontani, abeti sono sempre più vicini alle case, segno dell’abbandono dei campi coltivati, delle piantagioni di nuove specie come la douglasia e dell’incuria della gente. Eppure i fiori come la rosa canina, il biancospino, i crochi, le violette, le primule, le giunchiglie, i “non ti scordar di me”, le orchidee selvatiche rianimano i prati di innumerevoli colori, anche se il sottobosco rimane privo di tinte perché il fitto fogliame lascia filtrare poca luce.
Nonostante tutto, questa vegetazione che si sta riappropriando del suo territorio ha un suo indiscutibile fascino. Ed è proprio questo il motivo principale per visitare il paese di Torri.
Per chi ama la natura in generale, il verde degli alberi, la visione degli animali selvatici, per chi è sensibile al fascino dei piccoli insediamenti rurali con le strade lastricate e le case strette le une alle altre per proteggersi dai venti e dal freddo, per chi ricerca i segni del tempo passato nelle teste apotropaiche che sporgono dai conci angolari, nelle date, nelle iscrizioni e figure simboliche scolpite o incise sui muri delle case, questo è il luogo ideale per apprezzare le piccole cose così che lo spirito possa ritemprarsi e la mente ritrovare se stessa nella pace della natura.
L’antica tradizione di Torri dell’accoglienza dei visitatori vede protagonista la Associazione per lo sviluppo turistico di Torri, la quale organizza manifestazioni ludiche ed eventi culturali soprattutto nel mese di agosto.
Particolarmente apprezzato è il bar-ristorante “La Macchiarella” che fornisce degli ottimi pasti.
Per completare la visita si possono vedere anche l’atelier dello scultore Giorgio Fraino e il “museo della vita quotidiana” allestito da Renzo Innocenti.
La bellezza di Torri non è vistosa, né tantomeno appariscente così da colpire subito il visitatore.
Occorre una sensibilità particolare per poterla apprezzare. Ma certo ne vale la pena di recarsi in questo paese almeno una volta.
di Alberto Pucci ( Novembre 2020)