(Paolo Gestri)
Idealmente ma anche scientificamente l’arte fenomenica, cioè quella concreta e specialmente quella scultorea esiste già per intero nella materia informe. Non per niente Michelangelo insegnava a “levare” attorno alle figure la materia superflua fino a dar vita al corpo nascosto; e quatto secoli dopo Picasso stupiva tutti col suo dire “io non cerco, trovo”.
L’invenzione dello scultore è uno scavare nella pietra e nel marmo che non sono sepolcri col morto ma fecondi involucri all’interno dei quali sussiste qualche vita da rivelare. Giorgio Fraino è ancora più esplicito: “Già così come si presenta – sostiene- la pietra suggerisce una immagine che ha in sè. Un angelo era in questo semicerchio…” e ti indica un’opera dove a faccia di un angioletto compare tra due grandi ali. Oppure ti mostra un gran medaglione petroso con una Madonna col Bambino ed una croce di lato; oppure il bel volto di una donna dai tratti sereni, rivelatori di antiche certezze.
Dunque, anche la pietra ha un “porto sepolto”, dove Ungaretti identificava la poesia.
Bisogna ora sapere che Fraino passa l’estate a Torri. Il paese è famoso per la presenza di alcune ataviche sculture, maschere o altro che hanno fatto parlare di “sassi scritti”, sempre attuali per la loro forza evocatrice.
L’artista ne è affascinato vedendo emergere volti dalla pietra e dal tempo. Gli viene allora spontaneo pensare al rapporto arte tempo e riflette ad alta voce: “Dovrebbe sempre avere l’arte la durezza della pietra per poter vincere le mode”.
E difatti le sue sculture non le ritroviamo in nessuna corrente specifica. Egli è un eclettico che dà vita all’anima genitrice della natura.